L’informazione è il pilastro di ogni democrazia, ma l’attuale orizzonte ci allarma. Da giornalista con quale approccio guida oggi, stando dall'altra parte, il Dipartimento affidatole un anno fa dalla presidente Giorgia Meloni?
Ho una visione ottimistica, cerco sempre di vedere i lati positivi delle trasformazioni tecnologiche e delle innovazioni, ma non ci possiamo permettere di sottovalutare le ricadute che una rivoluzione epocale come quella dell’intelligenza artificiale produrrà sul settore. Il nostro compito è duplice: da una parte dobbiamo sostenere, anche economicamente, pluralismo e informazione, tutelando il diritto dei cittadini ad essere informati; dall’altra, è necessario ragionare insieme agli attori principali del mondo editoriale per delineare argini alla deriva digitale senza controllo umano. Sono fermamente convinto che solo il buon giornalismo, l’esperienza, l’originalità, la creatività possano vincere questa sfida.
Quale riforma ha ritenuto prioritaria appena arrivato al governo?
Dopo pochi mesi, abbiamo avviato la riforma dei criteri per il sostegno all’informazione primaria e, quindi, alle agenzie di stampa, attesa da anni. Un cambiamento orientato a difendere i livelli occupazionali, a tutelare la professionalità del lavoro giornalistico, a proteggere i cittadini dalla diffusione di fake news. Un primo importante risultato della riforma è l’aggregazione, dopo numerosi tentativi andati a vuoto nel passato, di quattro realtà giornalistiche. Un maggior numero di giornalisti a tempo indeterminato e con un giusto compenso è un buon modo per garantire il controllo delle fonti e tutelare la correttezza dell’informazione professionale.
E in merito ai criteri di erogazione dei contributi pubblici all’editoria, su quali direttrici si muove?
Sin dai primi giorni il Dipartimento ha lavorato a rafforzare le due principali linee guida del sostegno al settore. La priorità è quella di rafforzare la pluralità di voci nell’informazione, a cominciare dalle realtà locali fondamentali nel rapporto col territorio, soprattutto se mantengono originalità e creatività dei contenuti e livelli occupazionali adeguati. Allo stesso tempo siamo impegnati nel proteggere con tutti gli strumenti a nostra disposizione la distribuzione e la diffusione dei quotidiani nazionali, aiutando gli editori a sviluppare l’innovazione e a vincere le sfide tecnologiche. La nostra visione è quella di rendere il sostegno pubblico all’editoria semplificato, flessibile - ovvero capace di rispondere ai mutamenti del settore - e strutturato, con la creazione, già nell’attuale legge di bilancio, di un fondo unico che possa garantire risorse certe nel tempo. Pur in un quadro economico di grande complessità e in presenza di sacrifici richiesti a tutte le categorie, amministrazioni incluse, stiamo studiando le migliori soluzioni per garantire continuità aziendale in difesa dei livelli occupazionali.
Cosa pensa delle ipotesi di riforma dell’accesso alla professione giornalistica?
La formazione continua è la chiave professionale più importante del lavoro giornalistico. Partendo da questo presupposto, sono convinto che sia necessario accedere al mestiere con una elevata cultura di base, ma questo non è mai sufficiente se non viene accompagnato dall’impeto della curiosità, dal desiderio di conoscenza, oggi più che mai determinante in una vorticosa evoluzione del significato stesso del lavoro giornalistico e della sua missione.
Dilaga la tendenza alla disintermediazione, determinata soprattutto dai social che chiunque può utilizzare, dagli individui ai governi. Si rischia la disinformazione?
La mia preoccupazione principale è la confusione che stiamo generando. Solo il 34% degli italiani, lo dice il rapporto 2023 del Reuters Institute for the Study of journalism, si fida dei media. Un dato che deve preoccuparci tutti. La libertà di pensiero va tutelata e il confronto reale tra le persone anche sui social è positivo, ma non possiamo consentire la polarizzazione e la distorsione di un terreno democratico come quello dell’informazione. Abbiamo il dovere di valorizzare, sostenendoli, i contenuti certificati rendendo evidente la differenza. Allo stesso tempo dobbiamo continuare a responsabilizzare le piattaforme, nel loro stesso interesse, sulla natura dei contenuti veicolati, seguendo le indicazioni delle norme europee, e come richiede lo standing reputazionale. Le guerre ibride di informazione alle quali stiamo assistendo sia nel conflitto russo-ucraino, sia in Medio Oriente sono una drammatica e plastica dimostrazione di questa necessità.
L'intelligenza artificiale è la nuova frontiera con la quale è inevitabile misurarsi. Come state rispondendo all’impatto, in particolare di quella generativa, sull'informazione? Su questo fronte l’Europa è d’aiuto?
Sulle norme e sui diritti l’Europa è all’avanguardia. Il problema non è stato assolutamente sottovalutato dalla Commissione Ue tanto che sin dal 2021 è intervenuta prontamente avviando il confronto sull’Ai Act, un dibattito diventato immediatamente centrale con l’arrivo della intelligenza artificiale generativa sul mercato. Fra le proposte più significative dell’Ai Act ci sono l’approccio basato sui livelli di rischio, l’etichettatura dei contenuti, la trasparenza e la previsione che i fornitori di modelli generativi di AI debbano documentare e rendere disponibile al pubblico una sintesi dell’uso dei dati di addestramento protetti dalla legge sul diritto d’autore. Un punto questo importante, ma non privo di margini di miglioramento. Sono convinto che il contributo della Commissione AI istituita presso il Dipartimento Informazione potrà introdurre elementi di tutela necessari e specifici per il settore dell’informazione anche grazie al confronto già avviato con gli stakeholder. Due gli orizzonti: da un lato, la difesa del diritto d’autore, sulla quale la Commissione AI per l’Informazione farà le proprie osservazioni, che potranno costituire, tenuto conto della legislazione vigente, la base di una proposta normativa; dall’altro, la difesa dell’originalità del lavoro giornalistico e della responsabilità editoriale sulle quali daremo il nostro contributo da sottoporre all’attenzione della Commissione Cultura della Camera, dove sta per essere incardinata la bozza di riforma dell’Odg.
Preoccupano i rischi di disinformazione, specie in vista delle elezioni europee e americane. Quali iniziative sta portando avanti sul tema?
L’Italia col mio Dipartimento è entrata a far parte del Dis/Mis Resource Hub dell’Ocse, una iniziativa dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa volta a individuare delle politiche condivise per contrastare la disinformazione. Proprio oggi (ieri, ndc), a Parigi, ho tenuto l’intervento conclusivo della conferenza Tackling disinformation: Strengthening democracy through information integrity. In quella sede ho manifestato l’intenzione dell’Italia di lavorare insieme all'Ocse allo scopo di sviluppare un quadro comune per affrontare la disinformazione. Il primo imprescindibile punto credo sia contribuire – e questo spetta ai governi – al consolidamento di un forte sistema di media professionali e di qualità che non insegua il click baiting, ma verità, correttezza, accuratezza e trasparenza. A tal fine la tecnologia – che pure viene usata, di contro, per inquinare il flusso informativo con audio e video fake - può essere d’aiuto. La verità su Bucha, per fare un esempio, è emersa attraverso diverse immagini satellitari con cui è stata ricostruita la sequenza degli eventi. E anche la geolocalizzazione di una notizia può essere di grande aiuto per fare luce. Non basta, però, avere gli strumenti, occorre essere formati per saperli usare. E questo è un altro tassello nel percorso che deve rendere il sistema dell’editoria e dell’informazione capace di affrontare la sfida di chi usa la disinformazione per manipolare la pubblica opinione.
Proprio a seguito della crescente possibilità di manipolare le notizie prodotta dall’IA è stata costituita presso il Dipartimento la Commissione AI per l’Informazione. Quale criterio l’ha ispirata nella scelta dei componenti?
La conoscenza, sia scientifica che giuridica, è strategica per arginare i rischi e cogliere le opportunità dell’IA. Depositarie ne sono soprattutto le Università, come i centri di ricerca, ma anche l’esperienza sul campo è cruciale per comprendere i reali punti di caduta delle innovazioni, i pericoli, i risvolti concreti. Per questo la Commissione Ai per l’Informazione è composta da due giornalisti – Roberto Sommella e Lelio Alfonso – e da esperti quali il direttore della ricerca presso il Centro per l’intelligenza artificiale Francesco Bonchi; il professore di Etica della Tecnologia della Pontificia Università Gregoriana, padre Paolo Benanti; il professore ordinario di Fisica Matematica al Dipartimento di Matematica dell’Università di Bologna Pierluigi Contucci; il Ceo di B3Yond Edoardo Degli Innocenti; il consigliere di Cdp Venture Capital Sgr Lorenzo Maternini; la giurista Giusella Finocchiaro, già presidente della Commissione Onu di Diritto del Digitale; il professore del Dipartimento Computer Control Management Engineering dell’Università Sapienza di Roma, Marco Angelini; il professore di Computer Science presso l’Università Luiss di Roma Giuseppe F. Italiano; il direttore dell’Istituto di Calcolo e Reti ad Alte Prestazioni presso il Cnr Pietro De Giuseppe; il professore associato di Practice di Information Systems e Digital Transformation presso Sda Bocconi Gianluca Salviotti; la professoressa ordinaria di Proprietà Intellettuale e Concorrenza presso l’Università Europea di Roma, Valeria Falce; la Ceo di Sinda Silvia Castagna. Presiede la commissione il giurista Giuliano Amato, presidente emerito della Corte Costituzionale, perché i diritti sono il nocciolo duro della democrazia e tutelarli da qualsivoglia possibile deriva tecnologica è la nostra priorità.
Lei sarà a Messina il prossimo 17 novembre nell'auditorium di Ses per parlare ai giovani di informazione tra nuovi media e intelligenza artificiale. Quale pensa sia il modo migliore per trasmettere loro la conoscenza necessaria a distinguere sul web le fonti affidabili?
Uno dei primi passi, essenziale, è prestare attenzione a ciò che li coinvolge, ascoltarli. Per questo sarò a Messina, per incontrarli, ascoltare le loro domande. È così che potrò, da rappresentante delle Istituzioni, crescere nella consapevolezza del modo migliore per aiutarli a distinguere informazione e disinformazione, a sviluppare quello spirito critico di cui le democrazie hanno bisogno. Di certo la pluralità di voci e il conseguente confronto nel tempo sono essenziali per esercitarsi a cogliere gli elementi di affidabilità. L’occasione sarà importante anche per evidenziare che nella legge di bilancio 2024 si semplificano molto le procedure amministrative per l’accesso ai contributi destinati agli istituti scolastici per l’acquisto di abbonamenti a quotidiani, periodici e riviste scientifiche, un’occasione da sfruttare al meglio.
Quale pensa sia il presente della carta stampata, tra crisi della produzione e distribuzione e incalzare del digitale: è uno strumento ancora attuale?
Osservando la corsa sfrenata dell’innovazione tecnologica, la rivoluzione delle abitudini, che sedimentano ogni giorno di più un approccio digitale alla vita, verrebbe da dire che la carta stampata è destinata ad un ruolo marginale. Ma non tutto è scontato nella nostra vita, ci sono fenomeni in controtendenza: nell’era della musica digitale il vinile è tornato di moda e rimarca la qualità di un prodotto artigianale; le riviste vivono un buon momento dedicandosi all’approfondimento, le radio realizzano record di ascolti, mentre contestualmente la domanda e l’offerta di informazione si fa più frammentata. Insomma, l’integrazione fra mondi diversi, a volte persino dicotomici, è una realtà possibile anzi auspicabile, la chiave non è sostituire è integrare, aggiungere. La carta stampata resisterà? Se riesce ad offrire qualcosa di speciale, sì; altrimenti rischia di diventare come il vinile, un prodotto di nicchia, per pochi. Di sicuro, però, le priorità, in questo turbine di cambiamenti nell’editoria, sono mantenere la ricchezza di un’offerta informativa larga e plurale, difendere i livelli occupazionali e le tutele, avere visione sui nuovi ambiti di formazione prima di imboccare nuove strade sperimentali. La responsabilità collettiva, condivisa tra Istituzioni, editori, giornalisti, lettori e cittadini può essere la risposta migliore.