16 febbraio 2023
Nel nostro ordinamento l’ancoraggio della libertà di stampa e del diritto di essere informati è solido: è l’articolo 21 della nostra Carta fondamentale con cui 75 anni fa i nostri padri costituenti hanno voluto proclamare in modo chiaro e inalienabile il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Ecco perché l’informazione e il pluralismo costituiscono l’architrave della democrazia. Ed ecco perché vanno tutelati e difesi. E tutelarli significa anche proteggere il lavoro dei giornalisti. Oggi, giornata conclusiva del 29esimo congresso della Stampa Italiana, siamo nel luogo più idoneo per evidenziare che tutto questo ha senso se l’informazione si muove all’interno di frontiere etiche e deontologiche che riguardano la responsabilità individuale dei giornalisti e degli editori.
Il mondo digitale è un’onda oceanica. Dobbiamo evitare che si trasformi in uno tsunami. Utilizziamo questa energia senza farci travolgere, rendendo il digitale il volano di un nuovo sviluppo occupazionale dentro regole chiare e nette. E’ fondamentale rimanere distanti dalla tentazione di dopare le notizie, restare aderenti alla essenzialità, alla sobrietà, fedeli alla correttezza che alimenta il rapporto di fiducia con i cittadini. Oggi la strada maestra non è, però, sostituire l’editoria tradizionale con quella digitale, ma è integrare. E’ in questo cammino di equilibri dinamici e difficili che dobbiamo essere siamo molto attenti, vigilare, tutelare i livelli occupazionali e tenere conto del rating di legalità degli editori.
Parto da questa premessa per entrare nel vivo del tema che avete portato alla nostra attenzione coniando la parola ‘mediamorfosi’ che è nel titolo di questo congresso. Mediamorfosi è proprio una parola eloquente per testimoniare la trasformazione in atto nel mondo dell’informazione e dell’editoria, che sta vivendo, ormai in modo totalizzante, una nuova vita con opportunità e rischi connessi che solo una alleanza fra Istituzioni, professionisti, editori può e deve governare.
L’obiettivo per me è uno: recuperare autorevolezza. L’autorevolezza ha un effetto domino perché contrasta la spirale negativa della disintermediazione e rinsalda il rapporto con i cittadini che oggi è in parte compromesso. Chi informa rispettando le regole può raccogliere frutti che potranno essere reinvestiti in innovazione e occupazione, anche grazie al passo in avanti fatto con il nuovo regolamento per l’equo compenso che finalmente obbliga le piattaforme a remunerare il diritto d’autore. A questo proposito voglio evidenziare che c’è un fronte da tenere d’occhio, quello della piccola editoria locale che dovrà negoziare con i giganti e non sarà facile. Ma noi – l’ho già detto e lo ribadisco – noi ci siamo. Insieme all’Agcom che ha varato il regolamento e che avrà anche le competenze sulle trattative con tutti gli editori.
Una luce in questa crisi può e deve accendersi perché le difficoltà attuali non sono dovute soltanto alla metamorfosi in atto, ma anche alla mancanza di visione, all’aver scelto scorciatoie senza regole e di corto respiro. Importanti strumenti a disposizione ci sono. E io intendo portarli avanti e aggiornarli.
Il Fondo straordinario per gli interventi di sostegno riconosce alle imprese editoriali di quotidiani e periodici, oltre che alle agenzie di stampa un contributo per la trasformazione di un contratto giornalistico a tempo determinato o di collaborazione coordinata e continuativa in un contratto a tempo indeterminato. Porterò avanti questa misura, perché il precariato non aiuta il giornalismo, anzi, ne pregiudica la qualità, l’autorevolezza, l’indipendenza. Sono anch’io un giornalista. E conosco bene quanto sia difficile esserlo con coerenza e rigore. Il Fondo straordinario prevede anche un contributo per le imprese editoriali di quotidiani e periodici, per le agenzie di stampa e per le emittenti televisive e radiofoniche locali che assumono a tempo indeterminato giovani giornalisti e professionisti fino a 35 anni con competenze nel campo della digitalizzazione editoriale e della comunicazione e sicurezza informatica. La formazione può fare la differenza in questo ambito espandendo le possibilità occupazionali in un mondo in veloce trasformazione con continue evoluzioni che richiedono competenze sempre più specifiche.
Al 30 giugno 2022 i rapporti di lavoro subordinato in essere erano complessivamente 14.702, in ulteriore flessione rispetto agli anni precedenti. Fra questi si stima che siano circa 500 i giornalisti che fanno esclusivamente attività sul web. Naturalmente questo dato non fotografa, però, tutta la realtà dei siti di informazione dove, come sappiamo bene, purtroppo lavorano spesso anche figure non giornalistiche che svolgono, però, lavoro giornalistico senza tutele e quindi senza conoscere né rispettare le regole. Ecco il senso dell’alleanza di cui ho parlato prima, come strategia per uscire fuori dal tunnel della crisi. Io farò la mia parte.
Per questo vi annuncio la mia intenzione di incentivare le realtà editoriali digitali certificate ad assumere giovani con contratti giornalistici. A breve lo inserirò nelle misure del Fondo Straordinario 2023. Ma non basta questo per uscire dalla crisi. Occorre che chi deve vigilare lo faccia, che gli editori lavorino per portare le loro imprese gradualmente a stare sul mercato e a restarci. Occorre che si interrompa la caccia al click che fa uscire il giornalista dai binari della trasparenza e della correttezza ed erode il capitale di fiducia dei cittadini. Un meccanismo infernale, una spirale autodistruttiva, dalla quale è praticamente impossibile tornare indietro. E su questo piano, come affrontare il tema delle pseudo testate globali come Twitter?
E’ sempre l’autorevolezza e il suo riconoscimento il ponte che consente di mantenere saldo il legame fra chi informa e chi vuole informarsi. Quando i cittadini vogliono e hanno bisogno di informarsi cercano ancora le fonti più autorevoli. Se le tutele rappresentano un punto cardine, sono convinto che stia nell’ascolto reciproco tra le diverse istanze che si può individuare un percorso concreto ed equilibrato. Ad esempio sul tema delle intercettazioni, ove la pubblicazione sia consentita dalla legge, il diritto di cronaca rimane un punto fermo, ma deve essere esercitato con sobrietà, considerato il potenziale lesivo della riservatezza e della reputazione delle persone e delle implicazioni pubbliche e mediatiche.
A questo proposito ricordo che il Garante della Privacy ha più volte richiamato a rispettare il principio dell’essenzialità dell’informazione, anche in presenza di un fatto di interesse pubblico. Anche quando affrontiamo il delicato tema delle querele temerarie sono convinto che la strada sia sempre quella ricerca dell’equilibrio vale a dire un fermo no, senza mezzi termini, a ogni forma di intimidazione nei confronti dei giornalisti, ma anche attenzione al diritto alla reputazione, pubblica e mediatica, anch’esso tutelato nel nostro ordinamento. L’Europa se ne sta occupando con le cosiddette Slapp, le querele strategiche contro la partecipazione democratica. C’è una proposta di direttiva e una raccomandazione che, invece, è già in vigore, che mira a proteggere i giornalisti da querele infondate e che costituiscono abusi.
Più volte ho citato Papa Francesco parlando di informazione. Il nostro, nel mio sentire, è un Papa cronista e, a mio avviso dà alla categoria, punti di riferimento molto efficaci. Nel suo messaggio 2023 sulla comunicazione fa notare che viviamo in un periodo storico segnato da polarizzazioni e contrapposizioni e auspica che “la comunicazione non fomenti un livore che esaspera, genera rabbia, porta allo scontro, ma che aiuti invece le persone a riflettere pacatamente, a decifrare con spirito critico e sempre rispettoso la realtà in cui vivono”. Vale la pena di raccogliere questo suo auspicio. L’interesse ad essere informati esiste. Magari è una domanda di informazione parcellizzata, ma c’è. Però, mi chiedo, stiamo rispondendo in maniera adeguata?
Dalla vita digitale indietro non si torna. Siamo noi, tutti noi, che dobbiamo andare avanti, renderla una vita sicura, accorgerci subito quando le norme vengono violate, quando si diffondono notizie false. Troppo spesso cadiamo in trappole mediatiche persino banali per superficialità. La velocità non è un valore in sé, ma è una necessità che va coniugata con la competenza e l’esperienza. L’immediatezza di una verifica in tempi di social network non è una scelta. E’ un imperativo categorico. E non ha scelta neppure l’Ordine dei Giornalisti che invito ad essere ancora più rapido nella lettura della realtà, delle innovazioni e delle loro ricadute, più efficace nel vigilare. Ecco, perché per fare questi cambiamenti credo sia opportuno lavorare a una riforma dell’Ordine dei Giornalisti, ma facendo una certa attenzione: allargare le maglie dell’accesso deve comprendere un miglioramento delle qualità professionali della categoria e soprattutto un rafforzamento delle capacità di vigilanza.
Voglio portare alla vostra attenzione un tema delicato, ormai attuale, che dobbiamo affrontare seriamente e subito. Non si possono sempre rincorrere i fenomeni e trovare soluzioni normative che nascono vecchie! Se un editore oggi aprisse un sito di notizie usando in parte rilevante solo articoli prodotti dall’intelligenza artificiale, quali sono gli strumenti a nostra disposizione per controllare l’autorevolezza e le responsabilità editoriali? Siti che ovviamente si sostengono con la profilazione degli utenti e che, sappiamo, stanno già lavorando su questa innovazione. Capacità di visione, confronto e soluzioni condivise. Di questo c’è bisogno per affrontare un cambiamento così rapido ed epocale. Non siamo più nella transizione digitale, siamo dentro il digitale. Credo fermamente nel ruolo cardine della professione giornalistica per la democrazia e in ogni occasione pubblica scandisco bene la mia convinzione: sostenere l’informazione è un dovere. Ed è quello che facciamo attraverso contributi diretti e indiretti. Ma serve responsabilità reciproca. Così come intendo intervenire sull’informazione primaria, affinché i contratti per l’acquisizione dei servizi con le agenzie di stampa vengano ridefiniti in un’ottica pluriennale e di pluralismo, premiante per chi fa investimenti e assunzioni. Ma tutto si tiene sempre e solo se la professione giornalistica non disperde i valori alla base della sua funzione sociale.
I rischi non mancano, a cominciare dal fenomeno della pirateria online che continua, purtroppo, a causare danni ingenti anche alla filiera dell’editoria, pregiudicando il lavoro di editori, autori, giornalisti, distributori, edicolanti e di quanti contribuiscono alla diffusione della cultura e dell’informazione. La pirateria si combatte anzitutto con il rafforzamento delle disposizioni normative, a livello europeo e nazionale, ma si combatte anche con un’educazione civica digitale e una “cultura” sociale che riconosca il valore del diritto d’autore e dei diritti connessi. E denunci in maniera tempestiva le violazioni. Consapevole di questo sto studiando con il mio Dipartimento nuove funzioni sul contrasto alla pirateria e sulla cybersecurity, fra le quali un’ampia divulgazione di una nuova educazione civica digitale. Noi ci siamo. Ma è insieme che si esce dal tunnel.
Sottosegretario , Barachini , Riccione , FNSI